Made in Italy

Quella dei pannolini lavabili in Italia è una realtà ancora giovane e poco diffusa, soprattutto se paragonata ai paesi anglosassoni dove la cultura dell’uso di questi prodotti è molto più radicata. Ne consegue che le aziende italiane che producono pannolini lavabili sono attualmente poche mentre sono più diffusi i distributori in Italia di prodotti stranieri.

Parlare di Made in Italy richiede opportune precisazioni:
Il Codice Doganale Comunitario sul "Made in" dispone che “le merci alla cui produzione hanno contribuito due o più paesi o territori sono considerate originarie del paese o territorio in cui hanno subito l’ultima trasformazione sostanziale”. Pertanto non è detto che un pannolino lavabile che si fregia del Made in Italy sia stato interamente realizzato in Italia.

Produrre in Italia utilizzando materiale italiano con personale in regola in base alla normativa italiana si traduce in costi di produzione non certo competitivi con quelli di prodotti originari da altri paesi dove il costo della vita e del lavoro sono inferiori.

Personalmente ho testato quanti più possibili prodotti italiani (nei limiti delle mie risorse fisiche ed economiche), desiderando dare il mio contributo nello sviluppo di questo settore, nell'ottica del risparmio energetico (km zero) della filiera breve che consenta l'incentrarsi sulle relazioni umane e quindi maggiore trasparenza.

Ma è doveroso dire che essere "puristi" in questo ambito è pura utopia e forse anche sciocco. Questa, come tutte quelle umane, è una realtà complessa, molto più di quanto appaia ad uno sguardo esterno e superficiale. E' difficilissimo per una piccola azienda riuscire a recuperare tutte le materie prime in Italia a basso costo, quando esse esistono (cotone e bambù, per esempio non ci sono). L'operazione richiederebbe un investimento iniziale che non tutti possono permettersi: una mamma, per esempio, che volese produrre in casa (WHAM), sarebbe quasi certamente tagliata fuori.

Insomma, ogni fase è frutto di compromessi più o meno grandi, spesso assennati e inevitabili.

Personalmente non voglio fossilizzarmi su posizioni radicali. Più che sul singolo particolare mi piace dare valore allo spirito generale dentro il quale ci si muove. Se un'azienda lavora con passione, con spirito etico, con attenzione all'ambiente e alle persone, cercando di fare il meglio nei limiti della realtà ma puntando in generale a un continuo miglioramento, beh, sono felice di collaborare con lei, anche se magari per ora non riesce, per esempio, ad avere PUL realizzato in Italia perchè non lo trova al prezzo/qualità/quantità accessibili.

Spostarsi fuori dall'Italia non è "peccato". Anzi. E' preziosa occasione di incontri umanamente e culturalmente arricchenti. Basta che non vada a discapito della tutela dei diritti umani e dell'ambiente. Forse localizzazione e gobalizzazione possono convivere se si usa il buon senso e si è mossi da un fine rispettoso.

Io stessa, nelle scelte per il negozio Albero e Stella, ho dovuto prendere decisioni tenendo presenti limiti a volte poco piacevoli: primo fra tutti, bisogna dirlo, il budget alquanto ridotto. La presenza di paletti, però, è uno stimolo costante ad analizzare i miei valori, a metterli alla prova, a chiedermi continuamente cosa sia essenziale.

Ciò che sto cercando di fare è muovermi nel mercato mantenendo uno spirito il più possibile distante dalle tentazioni dell'ingordigia, ricordando che quello che per me conta è la trasparenza e il rispetto per le persone, anche per le loro idee e scelte. Essendo un essere umano sono soggetta alla comune fallibilità, quindi non sono mancati, non mancano e non mancheranno errori, lo so e lo metto in conto. Questo mi rende anche più elastica a capire gli errori altrui.

 

Il Made in Italy diventa quindi un criterio, importante ma non unico. Più che una scelta di principio per me è una conseguenza: se voglio prediligere il dialogo e la collaborazione diretti, e ovvio che mi risulti più facile rapportarmi con chi vive vicino a me e parli la mia lingua. Più facile ma non unica possibilità.

 

Altri criteri importanti diventano quindi:

  • la tutela dei diritti umani e delle condizioni di lavoro;
  • la valorizzazione della qualità, dell'esperienza, della professionalità;
  • l’imprenditoria femminile;
  • l’imprenditoria solidale (coinvolgimento di categorie disagiate o a rischio);
  • la tutela dell’ambiente e della salute (tessuti certificati, biologico, mancanza di procedimenti chimici o a vario titolo dannosi...).

e così via.

Ultimamente per esempio sto valorizzando molto la capacità di alcune aziende di mettersi all'ascolto e in discussione, di accogliere stimoli che arrivano da piccoli e umili collaboratori come me. Ritengo sia un segno di professionalità non scontato, e indice di uno spirito vivo e aperto che di certo ammiro.

 

 

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